sabato 8 febbraio 2025

Ritorni

Delle enormi fesserie lette in rete in questi anni non voglio parlare adesso e nemmeno della proterva e cafonesca aria che tira in certi “profili personali” in certe risposte e in certi commenti (la moderazione si sta allargando a vista d’occhio). Preferisco parlarvi del grande piacere che mi da ripassare da certe stanze, aprire capitoli che dormono da qualche anno e che sono ancora perfetti, accesi e luminosi come quando furono scritti: ecco io vorrei che tutti i blog fossero capaci di dare quel tipo di sensazione, che fossero lo specchio fedele della nostra intimità vitale che resta legata alle parole e con essa resusciti quando vi poggiamo lo sguardo sopra.

LA LUNA AFFACCIATA SUL MARE

E’ questo il tempo? Quello che vorrei è un distillato di scrittura, ora che ancora posso permettermelo. Negli anni precedenti ho mangiato molta letteratura, i blog sono stati alcune delle portate del ristorante. Certe volte ho anche pensato di aver esagerato, che fossi vicino ad un’indigestione: mi sono rimproverato di non aver saputo o voluto discriminare, di aver cercato dentro la lettura il senso di molte cose del mondo. Pensavo che per giudicare o censurare dovessi prima leggere in ogni caso e con qualsiasi premonizione. Ho ingurgitato una marea di sciocchezze palesi, una pletora di sfilate sartoriali fini a se stesse. Non ho più il tempo di dilungarmi, mi è restato quello di immaginare o far immaginare. Ho motivo di supporre che il problema della “sincerità” sui blog non sia solo una mia supposizione: comunque lo si voglia definire questo picchiettare sui tasti, il senso o il fine di una pagina virtuale non può prescindere da una verità di comunicazione senza la quale un Blog non è nulla. Ci sono “nulla” imponenti in rete e non lo dico dall’alto di un’arroganza o presunzione di merito: i nulla sono talmente evidenti da non necessitare di alcuna spiegazione. Non sono legati solo ad una sintassi o ad una lingua raffazzonata e nemmeno ad argomenti più falsi e stucchevoli delle stoviglie di plastica: sono luoghi di una risibile tendenza al ribasso dove si cinguetta del come sei bello come sei giusto come sei bravo.
A volte sono anche scritti bene e non è quello il metro di giudizio da utilizzare; la cifra stilistica o letteraria cui fare riferimento. E’ un pericolo cui tutti siamo esposti perché il comodo di un abbraccio a priori per non essersi spostati di una virgola dal target sociale e culturale di riferimento è qualcosa di ipnotico. Ma io vi domando, mi domando, quale altro scopo può avere un blog se non quello di aprire alla conoscenza e alla comprensione spiriti e culture diverse?
Comunicare e goderne, questo è il mezzo che abbiamo fra le mani. 
Non siamo tutti uguali e non abbiamo eguale talento, ciò non significa appiattirsi verso il basso ma semmai il contrario. L’altra sera ho pensato, guardando la luna affacciata sul mare, che l’amore per me era ed è sempre stato l’eco della mia solitudine dinanzi alle cose che amo. Il desiderio perennemente insoddisfatto di condividere la poesia della vita in tutte le sue manifestazioni con un’altra da me. Perché io così da solo non mi basto, non mi accetto: è uno spreco indicibile non potere o non riuscire a dire guarda, tocca, senti a d un altro essere che lo intenda così come io lo respiro, lo scrivo…lo vivo.
Pensai che il blog sarebbe stato utile a questo: la testa fuori e le mani alzate per continuare a rincorrere i sogni, per non sfogliare le pagine da solo. Così in parte è stato: devo confessarvi che, tranne i momenti di fisiologica stanchezza, queste pagine mi escono fuori con una naturalezza che sorprende anche me ma non avevo considerato i pericoli che cavalcare la tigre del consesso umano comporta. Esiste una sensualità nel proporsi per scritto che non ha nulla da invidiare a quella che vive nelle pieghe della carne, una febbre oscura e improvvisa che non viene dalle propaggini di un letto; io non ho intenzione di negarla e, se la incontro, riconoscendola mi abbandono a lei con sconsiderata fede. L’amore prende e dà, più lo misuriamo e più ci sfugge, inserito nelle roboanti categorie della nostra tremebonda mediocrità ride di noi, ci sfiora, a volte si presenta dopo una svolta e ci fa sbandare con cinica abilità. Così ho fatto trascorrere una parte della sera ed ho aspettato la luna per sorprenderla mentre trescava col mare. Ed ero solo.
Credo d’averlo detto tempo fa: parlo sempre e solo d’amore, anche se gli argomenti sembrano i più vari il pentagramma è quello. Evidentemente non sono capace d’altro. Evidentemente mi appare così indispensabile da dargli tutto lo spazio di cui dispongo. Lo sento, come assenza o presenza, in ogni occasione…e se parlo delle campagne assolate della mia isola è amore; se vi racconto del branco di ricciole incontrato nelle acque di Linosa è amore; se vi dico che ho immaginato di togliermi di mezzo è amore. Non sarò certo io a dire la parola definitiva, a spiegarmi e trasmettervi finalmente il segreto bilancio di questo sentimento. Non sarò io e mi dispiace, in fondo penso di averla intravista un paio di volte la risposta giusta…troppo poco e troppo in fretta. Che mi manchi da morire è palese, altrettanto chiaro che non sarà in questa vita che potrò stringergli i fianchi.

giovedì 6 febbraio 2025

VILLA MALFITANO

La stanza di casa mia era ombrosa, mi piaceva riconoscerla: la poltrona accoglieva il mio corpo come solo un mobile di famiglia può fare. Sembrava il saluto di un vecchio amico. Nulla era fuori posto, sarebbe stato incredibile il contrario; ma io non provavo alcun conforto. Ero lì e basta, a guardarmi in faccia e a non riconoscermi. Nella libreria alcuni volumi, più consunti di altri, parlavano delle mie letture più assidue: Pirandello, Stendhal, Quasimodo…e il secondo volume della storia delle civiltà del Durant, splendido come sempre nella sua brossura dorata. Davanti al mobile in noce, imponente, la poltrona in velluto verde sulla quale ero seduto e, a lato, la lampada a stelo a forma di calice, uno dei pochi acquisti bizzarri di mio padre. Nel silenzio placido delle cose familiari sentivo le innumerevoli ore trascorse ad inseguire i miei sogni segreti. Tutti quei libri di fronte a me sembravano un folto pubblico assiepato nell'arena della mia vita. Essi avevano già chiaramente espresso la loro opinione: ero certamente un idiota. La sensazione di vuoto mi isolò e mi protesse per un tempo indefinito e così quell'anno, giunto quasi alla fine, potè defilarsi senza ulteriori scossoni. Masticavo le giornate lentamente, ma esse erano prive di gusto: grossi ciotoli levigati tutti uguali gli uni agli altri, rotolavano tra la libreria e le strade di Palermo. Io non ero più il turista di lusso a tempo pieno di sei anni prima, ero diventato piuttosto un poveraccio affamato, costretto a guardare il banchetto della vita da dietro un vetro spesso: le esistenze altrui. Nessun rumore, nessun profumo… ai miei sensi non giungeva più niente e tutto quel movimento che osservavo, privato delle sue note caratteristiche, sembrava un turbinio senza senso. Sapevo cosa facevo e dove mi trovavo: il bagaglio storico e personale dei luoghi che attraversavo mi era ancora perfettamente noto, ma io non lasciavo traccia di me stesso nel mio animo. Ero diventato un libro stucchevole riletto senza voglia. Le rare volte in cui ponevo attenzione alla mia condizione esistenziale, quelle dove non arrivava l'onda del grande sonno, la mia spinta vitale non superava un cupo fatalismo e una rabbia sorda e inutile. Fu una fortuna che la dolcissima primavera siciliana fosse indenne alle mie elucubrazioni crepuscolari e passasse , affascinante, sopra il mio pietismo stolto e grigio. Cominciò a sfogliare il libro che custodiva l'inventario perfetto delle emozioni senza tempo, mise dentro i miei occhi il blu antico delle sere sopra i palazzi barocchi, dentro le mie orecchie la commozione infinita d'una musica che non aveva mai cessato di suonare e, una sera d'aprile, mi portò in Via Dante per abbandonarmi da solo con i miei pensieri dinanzi al grande cancello di Villa Malfitano.
Non era ancora buio, mi trovavo in quella "terra di nessuno" in cui la luce era sufficiente a definire i contorni delle cose ma inadeguata per distinguere con certezza il giardino al di là delle sbarre nere. Così vedevo l'oleandro accanto alla casa del custode, ma non riuscivo a distinguerne il colore. L'edificio principale, lo sapevo, era completamente nascosto dalla massa arborea del giardino e si trovava alla fine del viale di ghiaia bianca che iniziava ai miei piedi e spariva, dopo una curva, a trenta metri dal cancello. Il rumore delle auto alle mie spalle era in perfetta sintonia con la mia città fine anni '70, distonica e volgare, che mi blaterava alle spalle. Fu il fastidio d'ascoltarla che mi spinse a cercare rifugio mentale nella penombra elegante e leggera di quest'altra Palermo, sparita cinquant'anni prima dentro un giardino. E' impossibile conoscere con certezza il funzionamento dei meccanismi della vita, anche se è la tua, ma quella sera mi riappropriai di me stesso, dei miei sentimenti e, con gioia, finalmente mi sentii male. La vecchia signora Whitaker uscì dal suo ritratto ad olio posto all'inizio della grande scala che portava al piano superiore della villa. Disse qualcosa alla sorella dentro l'altro quadro assorta in chissà quali pensieri e poi attraversò il giardino passando sotto la volta verde del gigantesco ficus per introdurmi a casa. Mi sembrò un'eccessiva confidenza per uno sconosciuto come me, forse uno scambio di persona? Mi chiese solamente di chiudere gli occhi… una visita personale e discreta per una dimora solitaria e impossibile. Mobili e oggetti fine secolo, vetrine, tende, lampade… un gusto squisito. Ritratti ovunque: amici, parenti, aristocratici, regnanti, letterati, musicisti, molti autografi. Ottime frequentazioni Madame, vedo che conosceva i Florio, i Mazzarino, prefetti, cardinali e ministri. Alle pareti tele dell'ottocento siciliano che non avrebbero sfigurato in un museo e alcuni grandi arazzi che potevano essere appesi solo qui. Percorsi il lungo e silenzioso corridoio centrale e mi fermai davanti ai due grandi uccelli di bronzo, alti più di due metri con una lanterna pendente dal lungo becco da trampolieri... più in là alcuni notevoli vasi cinesi di qualche antica dinastia e due statue in porcellana raffiguranti una coppia di elefanti indiani. A destra e a sinistra doppie porte imbottite di cuoio per accedere a salotti in stile, sale da conversazione, stanze da pranzo e da biliardo, salone da ballo. Un'immensa e dorata prigione per la vecchia signora Delia e i suoi ricordi d'inizio secolo.
Annusai a fondo l'impalpabile malinconia delle vite altrui e dei sogni dimenticati nelle varie stanze, sospesi nell'attesa di voci che non sarebbero mai tornate. C'era una sottile, garbata ironia in questa sospensione infinita: essa aveva evitato alla villa e al suo contenuto di diventare un insieme di triste, lussuoso ciarpame. Delia Whitaker non mi offrì il tè essendo morta cinque anni prima e nessun altro poteva farlo in sua vece.
Villa Malfitano era vuota e silenziosa: non ero io l'ospite atteso, appartenevo ad una società e ad una città troppo diverse. La signora tornò, dignitosamente, dentro il suo grande ritratto ad olio e riprese l'infinita conversazione con Norina, la sorella. Io rimasi a guardarle a lungo, compresi e me n'andai in silenzio evitando, per fortuna, di piangermi addosso. A casa mi attendeva la poltrona in velluto verde davanti alla libreria… e un ultimo viaggio da compiere.

La mia amnesia


Io ho dimenticato una gran quantità di cose e ne ho coscienza, quello che mi è rimasto, ciò che io definisco la mia cultura, non è altro che la summa concentrata di questa amnesia e il desiderio di riappropriarmi delle mie antiche nozioni. Se oltrepasso questo punto, se perdo tale consapevolezza la mia cultura si trasforma in una malattia e in un peso per chiunque mi sta attorno; Il Blog è una parte di me, un’esposizione della mia cultura, delle fibre con cui sono stato costruito, quindi è piena di piacevoli sciocchezze.

martedì 4 febbraio 2025

In certe sere

Ho conservato i sogni. Tutti! Una parte traspaiono qui, altri sono nascosti per bene dalla furia cieca e mediocre di questi ultimi anni. Mi sembra in sere come questa di aver dato tutto ciò di cui ero capace…davvero, di non aver altro da scrivere più di quello che ho sciolto su questa tastiera; sarà per questo che mi diletto a ornare, ricostruire gli altri blog, un gesto contro 
l’accidia del tempo.

lunedì 3 febbraio 2025

La solitudine com’è

Andiamo con ordine, col mio ritmo evidentemente. Il primo incontro con la musica riguarda l’infanzia e il teatro alla Scala: il primo pensiero che in qualche modo costeggiava l’amore fu dedicato ad un giovane primo violino dell’orchestra che suonava il secondo concerto per violino e orchestra di Brahms. La solitudine resta com’è, scritta o cantata non perde l’abito che le è proprio. Lei sta lì entra e esce da questo spazio o da altri: mi possiede. Certe volte penso che era già accanto a me quella sera di febbraio quando mi sedetti in sala e le luci del grande teatro pian piano di abbassarono per lasciare spazio all’orchestra.

domenica 2 febbraio 2025

Dietro il blog

Al di qua del blog che voi leggete c’è un mondo che lascia di sè soltanto un riflesso lontanissimo di me e di voi; solo la musica che siede in un angolo della stanza quando si alza maestosa può regalare almeno un’idea di quanto è accaduto qua dentro. Ma molti di voi non l’ascoltano e non sapranno mai dove è andato a riposare per sempre il pensiero di me che scrivo. La mia parte di luce Nessuno riuscirà a immiserire queste pagine e il loro autore, non perchè egli meriti più degli altri ma solo perchè custodisce la propria piccola parte di luce che altri hanno buttato via. Se scrivo vi amo, se vi rispondo cambio le note in cacofonia, se vi leggo cresciamo, se accetto il confronto ci sviliamo tutti.