Questa dicotomia maledetta,
questa impossibilità di abbracciare alcunché in toto:
il bisogno o forse l’istinto di scendere nei dettagli
di comprendere il prima e il dopo di ogni dettato intellettuale,
questo mi ha impedito di sedere con placida convinzione
in qualsiasi consesso umano.
Non è stato sempre legato ad argomentazioni esclusivamente politiche o sociali,
mi succedeva anche con la musica o l’arte;
c’è stato un tempo in cui essere un “bastian contrario” pareva connaturato
al mio viso.
Io mi devo convincere, devo capire
e non riesco a sorvolare con noncuranza sui mille compromessi
che assillano la nostra vita.
Non ho mai visto la schiera dei buoni assembrata
solo da una parte del territorio,
ho incontrato angeli all’inferno e vergini nei postriboli.
La loro presenza non cambiava la natura dei luoghi,
non cambiava allo stesso tempo la mia valutazione su di essi,
mi impediva, allora come oggi, di ergerli a campioni del mio panorama spirituale.
In rete dove il massimalismo e il bisogno quasi disperato di appartenenza
è così diffuso
il mio modo di pensare trova sempre meno cittadinanza;
c’è sempre qualcuno che “completa” il mio ragionamento
e resta deluso o infastidito quando intervengo a chiarire o modificare
l’altrui conclusione.