sabato 12 giugno 2021

CORSO DEI MILLE

Dalle mie parti a volte nevica, più spesso c’è un sole che spacca il cervello. Dalle mie parti chiunque è arrivato sempre via mare: anche oggi è così e capisco che per la gente di pianura può essere difficile entrare in quest’ordine di idee. Ho scritto dopo aver camminato nell’ultima porzione di Corso dei Mille a Palermo; ho scritto dopo aver attraversato per intero l’isola in cui sono nato.Volevo che questo scritto fosse diverso ma mi sono incantato davanti a un carretto pieno di frutta e verdura…era uguale ad uno che vedevo da bambino nel paese di mia madre. Ho chiesto al vecchio che fumava quanto costavano le pesche e glielo detto in italiano: mi sono sorpreso quando mi ha risposto. Da qui, da questi stessi luoghi, sono discesi i volontari di Giuseppe Garibaldi.
Più penso alla spedizione dei mille, più ne leggo, più ogni cosa mi appare inverosimile; potrei invocare il destino che tutto ordina e dirige, anche a nostra insaputa, ma sinceramente non mi basta. Al fondo di ogni cosa mi resta in bocca il sapore di uno scherzo che coi giorni è diventato storia concreta, di una goliardata romantica che alla fine devo guardare col rispetto del sangue sparso per un ideale che ancora, dopo 150 anni, chiede un riconoscimento che forse non arriverà mai. Dei Mille non c’è più traccia alcuna, solo un nome su un angolo di strada polverosa e vociante; eppure essi erano qui, vicino al ponte dell’ammiraglio partirono le prime schioppettate e caddero i primi morti. Questo straccio di nazione che ci è restato fra le mani, quella dei girotondi in piazza, di Berlusconi e di Umberto Bossi, di Monti e Di Pietro quella è nata qui, è nata sulle strade di quest’isola e ha iniziato a camminare il 5 maggio del 1860 sulla costa di Marsala che è molto più vicina a Tunisi che a Torino. A leggere di quei giorni sembra tutto naturale: lo scoglio di Quarto, i volontari, le idee e le giubbe rosse…c’erano uomini che in Sicilia ci volevano scendere, erano convinti che la spedizione si poteva e si doveva fare, che fosse un’occasione unica per dare alla storia una sterzata decisiva. Io adesso sento solo il silenzio della polvere che devasta l’ossario di Pianto Romano a Calatafimi e vedo lo squallore di una bandiera tricolore lasciata a seccare al sole d’estate. Sono siciliano ma gli uomini di questo governo mi hanno offeso e, con me, hanno ingiuriato tutti quelli che hanno provato a fare gli italiani dopo aver fatto l’Italia come disse Massimo D’Azeglio. Ho negato per quarant’anni che la frase di un illustre meridionale avesse un qualche significato storico o sociale: “ Ora che l’Italia è fatta, dobbiamo fare gli affari nostri…” Lo scrisse De Roberto nel romanzo i Vicerè, mettendola in bocca a un notabile siciliano nel periodo che immediatamente seguì all’annessione al Piemonte. Quella frase rimbomba feroce dentro di me, rimbalza sul mio sentirmi cittadino italiano, scivola sulla mia cultura e contraddice i miei ideali in qualcosa di più grande di una città o di una regione. Non voglio riscrivere la storia, voglio studiarla, analizzarla da varie prospettive e usarla per comprendere il mondo e la società in cui vivo. In fondo alla base di questo e di altri post c’è il desiderio di stimolare chi legge a riprendere in mano un libro o ad usare internet per capire meglio anche eventi e situazioni che si ritengono ormai ben conosciute. Io sono convinto che non sappiamo o sappiamo solo quello che ci è stato raccontato a senso unico, si chiama storiografia ufficiale e si fonda fondamentalmente su una presunzione di ignoranza e pigrizia mentale da parte della gente. Su questa base si installa poi il trend politico dominante o quello che fa più comodo al potere ufficiale. Questa è una delle storie possibili non l’unica. Il libro di Pino Aprile SUD è una FACCIA della realtà, una faccia ignorata da 150 anni. Fa comodo adagiarsi sulle confortanti notizie che giungono dalla bocca della verità ufficiale ma questa Italia ha iniziato il suo cammino unitario come Nazione poggiandosi su menzogne terribili. Il Regno delle due Sicilie era il più vasto e uno dei più ricchi delle penisola; erano gli altri in miseria. I più poveri e i più arretrati erano i ducati dell’appennino tosco emiliano, e molte regioni del Lombardo Veneto. Il regno di Sardegna navigava in acque scure, la politica estera brillante e incisiva di Cavour aveva dissanguato le casse e i Savoia erano alla frutta. Il regno più povero e arretrato dell’Italia di allora e anche il più retrivo era quello pontificio! Altro che luce divina, sangue e miseria materiale e morale! Uno schifo talmente forte da far rabbrividire gli studiosi di allora. Dobbiamo leggere, leggere e confrontare ipotesi e teorie! Dobbiamo sapere cosa fu la cosiddetta “lotta al brigantaggio” e come mai l’emigrazione iniziò DOPO l’unità… come mai questa nazione nuova e piena di buoni propositi fece letteralmente scappare milioni di poveracci che PRIMA sopravvivevano e dopo dovettero salvarsi attraversando l’oceano. Sta scendendo la sera, c’è odore di panelle e il cielo della mia città fra poco avrà quel colore impossibile blu che definisce e piega all’immaginazione anche i sogni più ribelli. Io sono siciliano…ho trascorso tutta la mia vita sperando di non essere solo quello ma è inutile, Corso dei Mille è solo il viatico di un’ emozione essiccata, perché la storia è passata da qui ma se n’è andata da molto tempo. Salutiamo.

giovedì 10 giugno 2021

LATIFONDI

Forse ci siamo ho pensato ieri: il cartello stradale indicava Catania Km. 102, l’orologio le 11 e 05. Due settimane prima stessa zona altro mondo: era la Sicilia della primavera sempre più rara. Quella delle campagne dell’interno tutte verdi, del cielo bizzarro e cangiante, perfettamente intonato al mio umore di quei giorni. Lungo le rive del fiume Salso file di canne color grigio-verde e margherite, margherite ovunque ad occhieggiare dalle radure e dai grandi campi di grano. Una festa per gli occhi e il naso intasato dai pollini. Non mi era chiaro il motivo per il quale mi ero fermato al km. 102; andavo di fretta, autostrada vuota, autoradio accesa, testa pesante. La piccola area di sosta mi ha accolto senza sforzo. Sono sceso e mi sono guardato attorno, nessuno…il distributore era a 25 km. con il suo caffè e la sua edicola, i panini dai nomi inventati e dal prezzo “favoloso”, ma vuoi mettere la goduria di urinare in libertà all’aria aperta ?
E’ stato a quel punto che senza radio, senza aria condizionata, senza acqua, senza nessuna di quelle simpatiche cose che ci coccolano ogni momento, ho pensato: ci siamo.
Giallo, tutto rigorosamente giallo a perdita d’occhio: sulla destra, controluce, Enna sospesa a 1000 metri sul suo altopiano, davanti sfumata nella caligine l’Etna, la sua immensa V capovolta a dire comando io, controllo io, siete piccoli e inutili. Per rafforzare il concetto una fumata sulla schiena lato nord a vomitare parte del fuoco interno. Ho girato il volto indietro per farmi toccare dal vento caldo del sud: gli ho detto “ sei di Agrigento cumpari, veru?” ma chiddu mancu marrispunniu. Aveva altro da fare, calcinare la terra, inchiodarla al tempo e non dargli tregua. Forse 35 gradi? Il mulo un km. più in là ne stava sentendo di più ma , in ogni caso, sull’isola è arrivata Lei, e quando arriva meglio guardarla in faccia e tentare un accordo per i 35 di oggi e i quasi 40 di domani.
Ho pensato ai fatti miei e mi è piaciuto, qui non posso raccontarveli per esteso: sono i pensieri di un vecchio ragazzo che ha sperato che la sospensione temporale durasse in eterno. Perché no? Inchiodato al sole come questa terra, i pensieri racchiusi nell’angolo più fresco della testa in attesa del piacere della sera,in attesa di un’altra occasione di un altro carretto colorato. Stanotte, a Catania, ho deciso di getto, me ne vado a mare sotto la Timpa di Acireale a guardare la luna; un vecchio mi disse una volta che… di sira a’ montagna di focu ci va’ cunta al mari tutti i pinseri di Diu. E io là sarò, attentissimo a non perdere manco una parola. Questa idea mi piace e sorrido ai latifondi che mi guardano attoniti: poggio la mano sulla portiera… e mi scotto, la lamiera è già bollente. Fine della sosta, al distributore di Sacchitello un caffè e per favore…aria condizionata.

martedì 8 giugno 2021

I miei territori

Mi è sempre piaciuto attraversare i miei territori, osservarne i movimenti e controllarne gli attori. Con un certo distacco però, senza influenzarne troppo le dinamiche naturali. Là dietro c’è la mia infanzia protetta e felice, immemore dei casini futuri, e appresso l’adolescenza più inquieta che mai in un mondo che cambiava cento volte al giorno. Ora nessuna di queste due cose mi fa male, ora stanno lì, allegre o furibonde, belle a vedersi ma concluse in se stesse… molti altri frammenti di vita hanno avuto lo stesso destino, dopo la nascita e lo sviluppo non sono morti ma girano su se stessi cristallizzati.

domenica 6 giugno 2021

Trent’anni dopo

– A sud verso Ortigia, Trent’anni dopo – 
C’è sempre un cammino privato anche in un atto pubblico come quello di pubblicare uno scritto in rete. Io ero là, su quella banchina quella sera quell’anno; il desiderio di completezza, di riunirsi alla propria intimità era una musica che suonava dentro, io la percepivo bene ma dirlo fuori era improponibile…anche adesso mi appare difficile. Il pensiero di quella sera se ne andò verso sud: credeva di trovare il suo ultimo approdo là dove aveva sognato una vita diversa per l’ultima volta. Trovò solo altro mare e un piccolo gruppo di amici a salutarlo per il suo prossimo viaggio. Aleggia da quelle parti, mi aspetta lì, sa che arriverò e ce ne andremo assieme, io lui e i nostri sogni, così come siamo nati.