In Sicilia ho capito alcune cose importanti e altre le ho definitivamente eliminate dal mio bagaglio esistenziale. Le idee e le sensazioni cresciute con me negli anni dell’adolescenza in sella ai pedali di una bicicletta tra i filari di pioppi della bassa padana sono diventate forti e chiare dopo aver riattraversato lo stretto. Ho amato, profondamente e senza alcun ricambio: è l’unico modo per diventare uomini. Comprendere ad un certo punto della propria esistenza che ognuno è solo e che la fragranza di una donna è solo un meraviglioso dono fugace e non prevede appartenenze di sorta. Una ragazza è solo sua, mai apparterrà a nessuno: il legame sessuale è solo una parentesi che ha un senso in una dimensione di libertà.
giovedì 22 luglio 2021
martedì 20 luglio 2021
SACCU VACANTI NUN PO' STARI ADDRITTA
Abbiamo fatto una gita o " nisciuta" che dir si voglia: probabilmente la prima di questa estate babba e distratta. Questo è il resoconto veritiero e io rileggendolo ancora rido. Nonostante la quantità vergognosa di cibo ingurgitato e di vino bevuto, siamo tornati sani e salvi e, soprattutto, riconciliati con la vita. Quanto durerà? La decisione si pigliò per caso: prima eravamo solo due coppie poi, non si sa come, si junceru Gigi e Gaetano e, cosa ancora chiù strana, Claudio e Marco (i miei ragazzi) con Marina e Peppe.
U cavuru era già bastevole ‘nta matinata e lasciava prevedere un pregevole forno verso mezzjorno, quindi decisione presa: verso le montagne! Ca poi, chi più chi meno, eravamo tutti su una media di una trentina di bagni a testa, per questo non interessava a nessuno di aggiungerne un altro alla lista. Dalle parti di Enna, Gigi ni dissi che lui si voleva fumari na sigaretta, noi gli abbiamo comunicato che si putiva lassarlo docuunnera, dalle parti di Tre Monzelli e si doveva puri arriminari in fretta per non far uscire l’aria condizionata mentre usciva lui dall’auto. Pari ca pure nell’autra machina Peppe ci abbia provato: infine, presi da pena per tali viziosi, a quarchiduno ci vinni di pisciari e la fermata servì per ambedue le necessità. A me e a Marina spuntarono brillanti teorie sul vizio del fumo e sulla schiavitù da tabacco: ognuno dissi la sua fissaria quotidiana e, alla fine, Gigi imitando Fiorello che imita Camilleri ci ha mandato simpaticamente affanculo. Non posso dirvi che benedizione ci è sembrata u friscu di una pinnata di rampicanti davanti alla trattoria di Salvatore verso mezzjorno, una volta arrivati al paese aggrappato in cielu a quasi 1200 metri sulle Madonie. L’ombra ci ha rilassato e unito in tante chiacchiere e risati; all’aperto chi fumare voleva fumò senza scassare i cabbasisi a nessuno.
Agli antipasti la discussione verteva sulla questioni Tibet- Cina- sport e mondiali di nuoto: ma il primo litrozzo di rosso fresco e rubinoso ha deteriorato la qualità del discorso che dopo 2 minuti ha sentito la frase entusiastica di Peppe: “Signori, ma voi avete visto chi razza di magnifiche minne ha la Pellegrini?” Frase accolta da commenti smozzicati e risatine da parte della gioventù e da affermazioni convinte di porchitudine da parte di Anna e Marina. Gigi per fortuna ha evitato velenose sequele con una frase storica: “I cosi belli s’anno a taliari” e tutto è stato cancellato da una provola e un salame nostrano squisiti, seguiti da pomodori secchi fatti in casa, aulive bianche e nivure e cipudde in agrodolce. Ciò ha innalzato il tono del nostro parlare che ha toccato livelli, pregevoli quando io affermai con vigore che bisogna abbattiri tutti gli imperialismi…peccato che immediatamente dopo arrivò la caponatina seguita da una frittata cavuracavura di ricotta con foglioline di menta la quali distrasse tutti i miei ascoltatori. In tutta sincerità vi confesso che ho preferito sospendere temporaneamente la mia allocuzione in quantochè i picciotti , le signore e quei gran cornuti dei miei amici si erano buttati sul mangiari con una foga caparivanodijuni di dui o tri misi: diventava necessario adeguarsi per non morire…di fame. Ai funghi arrosto e alle mulinciani grigliate nisciu fora Berlusconi, Bossi e compagnia bella; ma picca durarono sommersi da ruttini, frizzi, lazzi e gestacci vari, però dovete considerare che nel mentre la seconda bottiglia di rosso era morta prosciugata. Taliannu attorno scoprii con orrore che anche la gioventù, mal controllata, si era data da fare e Marco il quindicenne rideva solo solo e Claudio guardava da un’altra parte. Quando arrivò la richiesta su quali primi desiderassimo Anna, unica persona seria, ci ficiossirvari che già c’eravamo calati ‘nacona, l’equivalente di almeno due pasti normali…e aveva ragione ma il solo nome di pasta di casa col sugo di ragù di carne di maiale fu un colpo mortale per le nostre deboli personalità.
Nell’attesa, mentre qualcuno cercava di fare scarpetta nell’olio di oliva degli antipasti e veniva fustigato a sangue per la sua ingordigia ( non vi dirò mai chi era) le nostre fertili menti ricominciarono a lavorare : aneddoti, memorie e racconti, il territorio perfetto per Gigi che con faccia tosta assoluta ci contò per la quinta volta di quando all’università…di quando il padre di Carmela lo sorprese…e quando lui riuscì a portare a riva quel sarago che aveva abboccato alla mia lenza ( io sempre cretino sono) e poi la sera, tornando, la cinquecento fece 35 al litro!!! La gioventù lo ha taliato ammirata segno evidente di ubriachezza, le ragazze hanno riso divertite picchì “sunnu tutte minchiatima li cuntiaccussì bene…” La fetta maschile non ha detto una parola e poi è arrivata la pasta in versione prima il ciauru poi il colore infine la panza: nel silenzio il rumor di mascelle era l’unico avvertibile. Da lì a seguire non ho più le idee molto chiare: solo qualche brandello di memoria confuso assieme alle parole: le risate, la sasizza, le costate, le puntine di maiale e le patate al forno… forse i pipi arrosto? Sicuramente i dolcetti di mandorla e la granita di limone. La bottiglia di zibibbo di Pantelleria ghiacciato ci ha definitivamente sotterrato, ma credetemi ni chiamò come le sirene di Ulisse e noi persone semplici siamo…non abbiamo resistito. Al paese c’era festa nel pomeriggio ma il gruppo aveva una camminata da ritirata di Russia; solo la chiesa di S. Maria di Loreto, bella e candida come la neve ci ha salvato. Al suo interno un gruppo di miscredenti ha recitato giaculatorie per quasi un’ora godendo del suo fresco e delle sue sedie.
In questo modo poi siamo anche riusciti a goderci la festa, i carretti bardati come ai vecchi tempi e gli stendardieri nei costumi tradizionali. Infine? Infine abbiamo atteso che la luce si ammorbidisse in una sera tersa. I ragazzi erano felici…io mi sono un po’ immalinconito: come avrei potuto dir loro di gustare l’eternità di quel momento senza essere “giustiziato” dai loro motti di scherno? Così li ho guardati da lontano, da una lontananza che essi non possono nemmeno immaginare e mi son detto :”Un’altra svolta, un altro tesoro da conservare.” Quando ce ne siamo andati, scendendo nella vallata in macchina, abbiamo cantato. Il suono della gioventù è ineguagliabile. SALUTIAMO
U cavuru era già bastevole ‘nta matinata e lasciava prevedere un pregevole forno verso mezzjorno, quindi decisione presa: verso le montagne! Ca poi, chi più chi meno, eravamo tutti su una media di una trentina di bagni a testa, per questo non interessava a nessuno di aggiungerne un altro alla lista. Dalle parti di Enna, Gigi ni dissi che lui si voleva fumari na sigaretta, noi gli abbiamo comunicato che si putiva lassarlo docuunnera, dalle parti di Tre Monzelli e si doveva puri arriminari in fretta per non far uscire l’aria condizionata mentre usciva lui dall’auto. Pari ca pure nell’autra machina Peppe ci abbia provato: infine, presi da pena per tali viziosi, a quarchiduno ci vinni di pisciari e la fermata servì per ambedue le necessità. A me e a Marina spuntarono brillanti teorie sul vizio del fumo e sulla schiavitù da tabacco: ognuno dissi la sua fissaria quotidiana e, alla fine, Gigi imitando Fiorello che imita Camilleri ci ha mandato simpaticamente affanculo. Non posso dirvi che benedizione ci è sembrata u friscu di una pinnata di rampicanti davanti alla trattoria di Salvatore verso mezzjorno, una volta arrivati al paese aggrappato in cielu a quasi 1200 metri sulle Madonie. L’ombra ci ha rilassato e unito in tante chiacchiere e risati; all’aperto chi fumare voleva fumò senza scassare i cabbasisi a nessuno.
Agli antipasti la discussione verteva sulla questioni Tibet- Cina- sport e mondiali di nuoto: ma il primo litrozzo di rosso fresco e rubinoso ha deteriorato la qualità del discorso che dopo 2 minuti ha sentito la frase entusiastica di Peppe: “Signori, ma voi avete visto chi razza di magnifiche minne ha la Pellegrini?” Frase accolta da commenti smozzicati e risatine da parte della gioventù e da affermazioni convinte di porchitudine da parte di Anna e Marina. Gigi per fortuna ha evitato velenose sequele con una frase storica: “I cosi belli s’anno a taliari” e tutto è stato cancellato da una provola e un salame nostrano squisiti, seguiti da pomodori secchi fatti in casa, aulive bianche e nivure e cipudde in agrodolce. Ciò ha innalzato il tono del nostro parlare che ha toccato livelli, pregevoli quando io affermai con vigore che bisogna abbattiri tutti gli imperialismi…peccato che immediatamente dopo arrivò la caponatina seguita da una frittata cavuracavura di ricotta con foglioline di menta la quali distrasse tutti i miei ascoltatori. In tutta sincerità vi confesso che ho preferito sospendere temporaneamente la mia allocuzione in quantochè i picciotti , le signore e quei gran cornuti dei miei amici si erano buttati sul mangiari con una foga caparivanodijuni di dui o tri misi: diventava necessario adeguarsi per non morire…di fame. Ai funghi arrosto e alle mulinciani grigliate nisciu fora Berlusconi, Bossi e compagnia bella; ma picca durarono sommersi da ruttini, frizzi, lazzi e gestacci vari, però dovete considerare che nel mentre la seconda bottiglia di rosso era morta prosciugata. Taliannu attorno scoprii con orrore che anche la gioventù, mal controllata, si era data da fare e Marco il quindicenne rideva solo solo e Claudio guardava da un’altra parte. Quando arrivò la richiesta su quali primi desiderassimo Anna, unica persona seria, ci ficiossirvari che già c’eravamo calati ‘nacona, l’equivalente di almeno due pasti normali…e aveva ragione ma il solo nome di pasta di casa col sugo di ragù di carne di maiale fu un colpo mortale per le nostre deboli personalità.
Nell’attesa, mentre qualcuno cercava di fare scarpetta nell’olio di oliva degli antipasti e veniva fustigato a sangue per la sua ingordigia ( non vi dirò mai chi era) le nostre fertili menti ricominciarono a lavorare : aneddoti, memorie e racconti, il territorio perfetto per Gigi che con faccia tosta assoluta ci contò per la quinta volta di quando all’università…di quando il padre di Carmela lo sorprese…e quando lui riuscì a portare a riva quel sarago che aveva abboccato alla mia lenza ( io sempre cretino sono) e poi la sera, tornando, la cinquecento fece 35 al litro!!! La gioventù lo ha taliato ammirata segno evidente di ubriachezza, le ragazze hanno riso divertite picchì “sunnu tutte minchiatima li cuntiaccussì bene…” La fetta maschile non ha detto una parola e poi è arrivata la pasta in versione prima il ciauru poi il colore infine la panza: nel silenzio il rumor di mascelle era l’unico avvertibile. Da lì a seguire non ho più le idee molto chiare: solo qualche brandello di memoria confuso assieme alle parole: le risate, la sasizza, le costate, le puntine di maiale e le patate al forno… forse i pipi arrosto? Sicuramente i dolcetti di mandorla e la granita di limone. La bottiglia di zibibbo di Pantelleria ghiacciato ci ha definitivamente sotterrato, ma credetemi ni chiamò come le sirene di Ulisse e noi persone semplici siamo…non abbiamo resistito. Al paese c’era festa nel pomeriggio ma il gruppo aveva una camminata da ritirata di Russia; solo la chiesa di S. Maria di Loreto, bella e candida come la neve ci ha salvato. Al suo interno un gruppo di miscredenti ha recitato giaculatorie per quasi un’ora godendo del suo fresco e delle sue sedie.
In questo modo poi siamo anche riusciti a goderci la festa, i carretti bardati come ai vecchi tempi e gli stendardieri nei costumi tradizionali. Infine? Infine abbiamo atteso che la luce si ammorbidisse in una sera tersa. I ragazzi erano felici…io mi sono un po’ immalinconito: come avrei potuto dir loro di gustare l’eternità di quel momento senza essere “giustiziato” dai loro motti di scherno? Così li ho guardati da lontano, da una lontananza che essi non possono nemmeno immaginare e mi son detto :”Un’altra svolta, un altro tesoro da conservare.” Quando ce ne siamo andati, scendendo nella vallata in macchina, abbiamo cantato. Il suono della gioventù è ineguagliabile. SALUTIAMO
domenica 18 luglio 2021
A MARE
Con il mare sono troppo esigente. Questo è un concetto che leggendo le mie cose dovete tenere costantemente presente Io sono stato abituato male e le esperienze di bambino prima e ragazzo poi mi hanno educato il palato in maniera esagerata. Per capirci, la mia arroganza e il mio esagerato snobismo, quello di cui sono accusato un giorno sì e l’altro pure, nei riguardi dell’argomento MARE sono veramente evidenti. Io non mi accontento, non posso.
Da bambino ho fatto bagni per lunghissime e interminabili estati sotto l’acropoli di antiche città greche (Selinunte) o su spiagge di 6 chilometri sul canale di Sicilia alle foci del Belice avendo come compagnia 3 o 4 persone in tutto ( fatte salve qualche pecora e un paio di cani). Adolescente quando la forza del fisico giovane mi faceva sentire onnipotente ho imparato il rispetto per la magia suprema degli abissi nella acque cristalline delle Egadi. Ho vibrato di una musica che solo il contatto col mare “vero” può regalare.
Vorrei portarvi dentro i miei occhi e mostrarvi i fondali di Levanzo o Marettimo, la ghiaia bianca perfettamente visibile e nitida 30 metri sotto la superficie di cala Bianca o il branco di ricciole da 40 chili l’una che solcano maestose il blu delle acque di Linosa, il senso di gioia e di pulizia primordiale che un bagno alla spiaggia dei conigli di Lampedusa restituisce a chi vi si immerge. No, non posso più accontentarmi: ho visto il sole annegare in uno sciame di oro e le stelle diventare l’unica luce sul velluto della notte ed era Filicudi 30 anni fa, era il sogno, la vita e il richiamo del mare anche di notte aspettando il regalo di un nuovo giorno. Ho tremato di eccitazione a 15 anni uscendo al sole impietoso del Tirreno dopo aver attraversato la prima galleria dello Zingaro quando la riserva naturale non c’era ancora e per 12 chilometri le calette caraibiche, con un’acqua così trasparente da sembrare inesistente, risuonavano soltanto dei sussurri di tre ragazzi… Non riesco ad accontentarmi: guardavo scendere il corpo sensuale della mia ragazza di allora, la vedevo filare sicura verso i 20 metri in apnea nelle acque di Capo Murro di Porco a Siracusa e mi dicevo: è una dea ed io scenderò laggiù con lei per baciarla. I giorni e le notti erano allora il palcoscenico di una giovinezza eterna il cui alito fu così forte da sorreggermi ancora oggi, da permettermi di scriverne così ancora con le lacrime agli occhi.
E’ al mare che ho conosciuto che devo la mia vita, al suo scintillio dorato lungo la spiaggia di Vendicari, alla sua eco nel solitario e ventoso arco di sabbia di Capo isola delle Correnti che devo il mio senso del tempo che mal si adatta ai ritmi sciocchi di quest’altra vita. Quel mare, il mare della mia terra non somiglia in nulla ai succedanei che vedo dappertutto attorno a me: stona in modo terribile con ciò che il mare ( anche quello siciliano) è diventato. Non riesco sulle spiagge con migliaia di ombrelloni in fila a leggere la metafisica della terra che abito e, senza di essa, io sono nulla, non esisto. E non scrivo.
Quindi non voglio accontentarmi e mi incammino da solo lungo i 300 e passa chilometri di costa che guardano L’Africa sull’altra sponda: a metà strada circa c’è il bagliore accecante di Balata dei Turchi e, attorno, solo la miseria più antica e silenziosa. Se è questa che volete conoscere, questa quella con cui volete parlare per scoprirne gli immensi tesori, fermatevi dunque. Immergetevi dove l’azzurro si mescola col candore immacolato della roccia e lasciate che sia il mare a raccontarvi, meglio di me, la storia infinita del nostro trascorrere quaggiù.
Da bambino ho fatto bagni per lunghissime e interminabili estati sotto l’acropoli di antiche città greche (Selinunte) o su spiagge di 6 chilometri sul canale di Sicilia alle foci del Belice avendo come compagnia 3 o 4 persone in tutto ( fatte salve qualche pecora e un paio di cani). Adolescente quando la forza del fisico giovane mi faceva sentire onnipotente ho imparato il rispetto per la magia suprema degli abissi nella acque cristalline delle Egadi. Ho vibrato di una musica che solo il contatto col mare “vero” può regalare.
Vorrei portarvi dentro i miei occhi e mostrarvi i fondali di Levanzo o Marettimo, la ghiaia bianca perfettamente visibile e nitida 30 metri sotto la superficie di cala Bianca o il branco di ricciole da 40 chili l’una che solcano maestose il blu delle acque di Linosa, il senso di gioia e di pulizia primordiale che un bagno alla spiaggia dei conigli di Lampedusa restituisce a chi vi si immerge. No, non posso più accontentarmi: ho visto il sole annegare in uno sciame di oro e le stelle diventare l’unica luce sul velluto della notte ed era Filicudi 30 anni fa, era il sogno, la vita e il richiamo del mare anche di notte aspettando il regalo di un nuovo giorno. Ho tremato di eccitazione a 15 anni uscendo al sole impietoso del Tirreno dopo aver attraversato la prima galleria dello Zingaro quando la riserva naturale non c’era ancora e per 12 chilometri le calette caraibiche, con un’acqua così trasparente da sembrare inesistente, risuonavano soltanto dei sussurri di tre ragazzi… Non riesco ad accontentarmi: guardavo scendere il corpo sensuale della mia ragazza di allora, la vedevo filare sicura verso i 20 metri in apnea nelle acque di Capo Murro di Porco a Siracusa e mi dicevo: è una dea ed io scenderò laggiù con lei per baciarla. I giorni e le notti erano allora il palcoscenico di una giovinezza eterna il cui alito fu così forte da sorreggermi ancora oggi, da permettermi di scriverne così ancora con le lacrime agli occhi.
E’ al mare che ho conosciuto che devo la mia vita, al suo scintillio dorato lungo la spiaggia di Vendicari, alla sua eco nel solitario e ventoso arco di sabbia di Capo isola delle Correnti che devo il mio senso del tempo che mal si adatta ai ritmi sciocchi di quest’altra vita. Quel mare, il mare della mia terra non somiglia in nulla ai succedanei che vedo dappertutto attorno a me: stona in modo terribile con ciò che il mare ( anche quello siciliano) è diventato. Non riesco sulle spiagge con migliaia di ombrelloni in fila a leggere la metafisica della terra che abito e, senza di essa, io sono nulla, non esisto. E non scrivo.
Quindi non voglio accontentarmi e mi incammino da solo lungo i 300 e passa chilometri di costa che guardano L’Africa sull’altra sponda: a metà strada circa c’è il bagliore accecante di Balata dei Turchi e, attorno, solo la miseria più antica e silenziosa. Se è questa che volete conoscere, questa quella con cui volete parlare per scoprirne gli immensi tesori, fermatevi dunque. Immergetevi dove l’azzurro si mescola col candore immacolato della roccia e lasciate che sia il mare a raccontarvi, meglio di me, la storia infinita del nostro trascorrere quaggiù.
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