venerdì 19 maggio 2017

Un lettore


Quando scrivo o leggo, le righe sono qualcosa di vivo e reale, sono un’avventura che ti attraversa e infine, come l’amore, le amicizie, i dolori e gli affetti, come ogni cosa ti logora e ti stanca. In realtà la colpa è mia perché vedo e immagino ciò che è scritto come inattaccabile, allo stesso modo in cui sogno e vorrei che fossero certi sentimenti: non toccati dalla miseria della vita che ci segue passo passo anche se, a ben vedere, è proprio tale condizione spesso ad essere il loro nutrimento. Voi non potete immaginare quanto siano luminosi i miei sogni ad occhi aperti: diventano una specie di oasi, un “porto franco” che mi difende da tutto e tutti. Nella mia stanchezza è la solitudine e, al tempo stesso, la necessità di difenderla perché resta l’unico modo di proteggere il mio diritto alla individualità. Complicato? Eccessivo? Di fatto sempre più spesso non mi riconosco, nemmeno nella comunicazione che tento di avere col resto del mondo; io so perfettamente che chi scrive ha un solo modo per sapere se ci sia altro al di là della sua visione: avere un lettore, un lettore che lo estragga dalla moltitudine della solitudine e renda concreta la sua individualità.