Più vi leggo più vi amo e mi allontano da voi: non per un malinteso senso di inconfessabile superiorità ma per una manifesta inadeguatezza di vivere tutte assieme le contraddizioni che in questi anni mi avete rovesciato addosso col mio goloso assenso. Non riesco a capire come fate a scrivere così tanto, così spesso e con tanta fiducia in voi stessi; a me la nausea arriva a ondate e, in alcuni periodi, questo blog rimane solo un riflettersi nello specchio di cento soliloqui.
Quando scrivevo su carta non accadeva, il rapporto col foglio e la penna era più carnale e forse più misurato: che mi sono stancato di me stesso lo avrei detto con più garbo. Ma probabilmente la spiegazione, come spesso accade, è semplice: molti di voi sono certi, convinti, eroicamente sicuri di
stare dalla parte del giusto, è una base di partenza invidiabile quasi quanto i 30 anni circa in media che ci separano anagraficamente. Non farò proclami di alcun genere: ho in testa almeno un centinaio di post, un centinaio di Enzorasi pronti a scappare sulla tastiera. Stanno facendo un tale casino che, stamattina, li ho chiamati in direzione e ho detto loro che nelle prossime settimane voglio vedere attentamente i “loro compiti a casa”, voglio correggerli e dare loro un senso minimo di unità. Insomma ho dato loro un’occhiata in questi giorni e c’era una tale accozzaglia di “etichette” da lasciare senza fiato anche uno come me che conosce bene i suoi polli, una “enciclopedia dell’Enzorasi pensiero” che non ha alcuna dignità di essere immediatamente partorita così com’è. In bottega ho trovato la musica della mia generazione sessantottina, riveduta e corretta dagli umori della mia educazione di borghese siciliano; i lampi della mia infanzia magica e “rivoluzionaria” tesa tra Milano e la Sicilia, tra il risotto con lo zafferano e il couscous; le note dell’orchestra sinfonica della Scala e gli accordi impossibili della chitarra di Jimi Hendrix; le pagine lucide di Sciascia e i ciclostili del movimento studentesco del 1970; i canali d’acqua dolce della bassa padana tra le cascine dove arrivavo in bicicletta… e questo mare arrogante e infinito dove ho scelto di posare i miei occhi da vecchio e il mio cuore di ragazzo; i miei compagni di liceo perduti per sempre e quelli dei miei figli che fanno lo stesso identico frullo delle rondini che arrivano al nido, mi guardano a volte…ma non mi vedono. Le ragazze, accidenti, sì le ragazze sembrano cambiate ma a me paiono sempre sottilmente incomprensibili (ma è l’unico modo che conosco per amarle tutte); quella bambina in particolare che è divenuta grande lontana da me per dimostrarmi che tanto sono tutte minchiate l’amore, il sesso ,l’etica, e mentre me lo dice a muso duro piange e mi carezza perché lei mi ama, ma non basta. Tra una porta e un sospiro, quando sto già pensando di aver visto tutto, di aver tutto chiarito, nella bottega entrano facendo un gran casino, la violenza e la febbre delle opinioni: da queste appunto vorrei fuggire ma esse mi inseguono, mi rincorrono dal marzo del 1972, dalla sera in cui lasciai il movimento alla Statale di Milano. E adesso sono qua, tutte, le vecchie e le nuove; quelle che sanno navigare solo sulla carta stampata e le altre nate da madri bioniche coi capezzoli pieni di bites.