sabato 27 agosto 2016

ROSSO PORPORA

A cosa diavolo serve un posto come questo? 
Sono stanco di girare in tondo e controllare, adeguare per trovare comprensione (intelligere), smorzare per ammorbidire gli spigoli, presentarmi col cappello in mano e il freno tirato per scrivere sempre un po’ meno di quanto io sappia fare.
Sono nato alla pagina scritta una sera d’estate di 43 anni fa davanti al mare delle saline fra Nubia e Salina grande e la verità è che i ragazzi certe cose le sanno dire…le dimenticano dopo; col tempo fanno di tutto per dimenticarle. Era un tramonto vero, di quelli che i pittori arrossano di arancio e qualche sbuffo rosa e viola, di quelli che i poeti usano per arrampicarsi sull’Olimpo. Noi eravamo lì, seduti sul muretto, dando le spalle al campetto dove giocavano a tendersi le prime ombre. Il mare ha avuto un ultimo fremito di colori, poi si è spento in un altro blu, che non era ancora quello della sera.
– E’ bello stare qui- lei ha detto ed io ho riso, perché i ragazzi certe cose non le sanno dire, ma lei quella volta aveva detto proprio così. Io ero felice abbastanza quanto basta. A casa la sera ero infuocato, febbricitante, e lo scrissi ed era tagliente e improvviso come il bacio che lei mi aveva dato.
Nascemmo alla vita nel rosso porpora di un giorno che muore, ci addormentammo dentro il blu della sera che incedeva sicura di sé. Cominciò con due piccole bugie:
– E’ qui che abiti allora?
– Sì solo d’estate però” Mentimmo per timidezza o perchè golosi del tempo che la menzogna ci regalava? Mi guardavi senza guardarmi
– Che fai adesso
– Arrivo fino alla torre…vieni anche tu.
E mi sembrò una proposta di un’audacia sconsiderata; la osservai sfrontatamente per darmi un tono e vedere l’effetto della mia proposta. Mi costò una fatica immane.
– Sei il figlio dei milanesi?
– Sì, ma i miei sono siciliani.
E mi incamminai, senza contare i passi, senza considerare i suoi…mi persi assieme a lei e ci regalammo un silenzio ininterrotto fino al muretto di pietra.
– Che studi?- per non chiedere l’età
– Entro al Ginnasio l’anno prossimo
– Io sono al terzo anno- le dissi mentendo per avere tempo, più tempo per la mia virilità confusa.
– Hai un accento strano, parlano tutti così da te?
Non fece nessun accenno alla mia bugia, vi passò sopra semplicemente come una cosa inutile da mettere da parte, ma sorrise. Mi rivelò il gioco delle futilità dette solo per gioco. Le parole: una stessa nota in chiave diversa. Non fu una menzogna e nemmeno una parziale verità. Fu un richiamo, solo una voce davanti al mare.
– Ti chiami Enzo, ho sentito ieri tua madre che ti chiamava.
– Hai fatto attenzione. Perché?
– Nuotavi bene ed eri solo. Non hai amici qui?
Lo presi per un buon inizio e pensai che il suo muoversi, il suo sedersi, il tono della sua voce fosse un bisbiglio che potevo avvertire soltanto io. Passammo un gran tempo di noi a raccontarci bugie per coprire la verità dei sensi; il giorno cadde quando le sfiorai le ginocchia, la mia vita cambiò quando le toccai i seni di ragazza. Mentire per non morire, per prolungare all’infinito la prima volta dell’amore, e tenersela per sé. Un bacio ansioso prima, lunghissimo dopo.
– Me ne dai un altro?”
– Sì, è stato bello.
– Quanti ne hai dati finora?
Non le dissi che era il primo. Non le dissi più nulla e mi feci portare via dal sogno. La notte, tardi, mi leccai la ferita calda di quelle labbra e sciolsi il tempo delle parole su una pagina: la prima. Di sera penso ogni tanto alla rincorsa affannosa e febbricitante di questa condivisione. Suona con un’ eco serena sulla nudità di questa solitudine; se me ne libero resto, oggi come ieri, nudo e vero.

venerdì 26 agosto 2016

Confini da stabilire

Da molto tempo soffro di confusione e indecisione sul confine da dare ai miei territori, apparentemente è un segno di senilità e di morte: pur senza essere così drastico preferisco chiamarlo un segno di riflessione e un richiamo alla pace dell’animo. 
Ma di questo mondo e di questa rete, di queste dinamiche e dei secondi fini che esse sottendono sono francamente stufo: se ridurre i territori significa guardare e parlare di ciò che si conosce bene allora io ho ridotto i territori.

mercoledì 24 agosto 2016

L'INTUIZIONE CONCETTUALE

E difficile per me spiegare a parole la sensazione che mi accompagna da tantissimi anni, E’ vero soffro di solitudine ma è altrettanto vero che fin dall’adolescenza c’è una parte della mia vita che io non posso che viver da solo. Intellettualmente nella sfera di certe emozioni e di certe riflessioni IO SONO SEMPRE STATO SOLO, ogni volta che ho tentato di uscire dal guscio mi sono sentito a disagio come se fossi forzato in una veste che non mi apparteneva. Anche qui nei blog il distacco tra la mia dimensione intima e l’espressione scritta che ne ho prodotto non mi ha mai del tutto soddisfatto: forse i continui aggiustamenti, gli abbandoni e i ritorni hanno la loro origine dentro la segreta consapevolezza della mia personale solitudine. Ad un certo punto della mia vita ho capito che era inutile produrre tentativi di condivisione, erano sterili e per certi versi controproducenti: ho aperto i blog per provare ad essere diverso e vero, per svelarmi senza finzioni.Non funziona!
O almeno funziona solo in parte, poi arrivano come sempre gli equivoci, le risse, le incomprensioni e nel frattempo si perde il tempo prezioso dell’intuizione concettuale, quella che ti fulmina in mezzo secondo e che non riuscirai a comunicare mai a nessuno se non seguendo la stessa via e la medesima intuizione. Ho scritto miliardi di righe nella mia vita, milioni da quando frequento il web. Mi pongo il problema di cosa esse siano e dove vadano, mi pongo anche un’infinità di questioni che dalla scrittura partono e alla scrittura ritornano. Devo confessare che abbastanza spesso sono soddisfatto di ciò che scrivo ma capisco che il significato vero è troppo spesso relegato alla MIA dimensione intellettuale: nonostante la mia arroganza lo ritengo un difetto. Credo che resterà tale.
Ho riempito negli anni la rete di miei blog che adesso dormono “spenti” in qualche angolo, posso risvegliarli quando voglio per scherzo, per noia, per diletto o per curiosità, penso che sia affar mio. Ultimamente ho trovato più utile scrivere all’interno dei commenti e i miei scritti “nuovi” si trovano quasi tutti lì; il blog è una strana creatura molto più duttile di quanto si possa pensare, nel contesto personale, che resta intonso se lo vogliamo, si inserisce quello pubblico, croce e delizia di noi tutti, pietra di paragone culturale ostica e micidiale in certi suoi risvolti. Sarà su quel terreno che si giocherà la vera partita di un blog, nel guardarsi in faccia, migliorare la forma del nostro pensiero e la sua espressività, confrontarla con gli altri, accettarne la diversità e difendere la dignità del NOSTRO sentire. In questo, specificatamente, io mostro spesso la corda e lo scrivo. Qui scrivo anche delle mie sconfitte anzi a ben guardare sono esse le vere protagoniste di questo blog; la non riuscita, i tentativi a metà e, infine, la grande malinconia dei sogni solo sfiorati ma mai stretti tra le mani. In certi casi ho pensato, prima di mettermi alla tastiera, di provare a fingermi un’altra esistenza e altre dinamiche: chi potrebbe mai sapere veramente di me? La rete è piena di falsi narrativi e intellettuali, di castelli incantati pronti a crollare al primo alito di concretezza vitale. Ma non ci riesco, scrivo della mia mediocrità immaginando l’assoluto: se non potessi farlo più sarei privato di uno dei pochi sfoghi esistenziali che mi sono rimasti. Tutti post che ho scritto negli anni parlano di questo, sono io, credo che voi mi leggiate per questo.